26 luglio 2008
Classe dirigente
di Nicola Carnovale*
La crisi che il nostro paese affronta è senza alcun dubbio riconducibile ad un contesto internazionale, in cui, quella petrolifera, rappresenta un aspetto, se pur il più rilevante, di una complessità di questioni. Queste, dovranno trovare soluzioni sempre più condivise tra un numero crescente di paesi, se vorranno veramente essere efficaci e risolutrici, ed aprire uno scenario globale che segni effettivamente il segmento di una nuova era. Decidere è quindi la parola d’ordine che non può essere emendata. In questo contesto, la specificità italiana, appare essere ancor più problematica. Proprio perché decidere, non è la dote innata o principale che questo paese, e la sua classe dirigente, può rappresentare al meglio. Anche se, eccezionalmente, in taluni frangenti e con alcune sue figure preminenti, a dimostrato di saper non essere secondo a nessuno. In ogni caso, parliamo di altri tempi. Molto lontani politicamente e cronologicamente. Lo scenario oggi è radicalmente diverso. L’elezioni del 13 e 14 Aprile, e soprattutto la fase elettorale che le avevano precedute, sembravano segnare un nuovo inizio per la politica e le istituzioni, sempre meno democratiche, del nostro paese. Oggi, e non certo perché si paventa il fallimento del famigerato dialogo – mai realmente esistito su riforme e temi, ma basato su inciuci oligarchici di palazzo - e nè per lo scontro sul Lodo Alfano e la cosiddetta norma blocca processi, appare chiaro che l’ennesimo tentativo è andato a male. Non vi è alcun nuovo inizio. Anzi, il corso del tempo sembra essersi bruscamente interrotto per poi tornare improvvisamente indietro di un decennio.
Basta rammentare il post elezioni del 2001. Berlusconi - similarmente a quanto avviene oggi - impegnato nella sua crociata personale con la magistratura; la sinistra alle prese con i girotondini al Palavobis; i Ds a Pesaro alle prese con il congresso più difficile della loro storia (almeno una volta li facevano!). Non sono semplici analogie o coincidenze fortuite, ma esse dimostrano platealmente l’immobilismo, anche in dinamiche basilari, del paese. Nei mesi trascorsi si sono trasversalmente catechizzati i cittadini, spiegando loro, con parabole molto simili a quella del buon samaritano, che bastava scegliere uno dei due grandi contenitori, per risolvere ed eliminare in un solo colpo i molteplici mali, causati in primis da una eccessiva frammentazione che rendeva impossibile governare con azioni decise, rapide ed incisive. Bastava semplicemente fare un buon uso del proprio voto, per risolvere i mali cronici e perduranti del sistema. Sistema, in cui quelle stesse forze, quali forze maggioritarie e preminenti all’interno dei rispettivi schieramenti, avevano contribuito ad imporre ed in cui le stesse traevano i maggiori benefici. Buona parte di cittadini, ha non solo recepito il messaggio - il contrario risultava francamente impossibile, vista l’intensità e la violenza comunicativa con cui questo veniva sprigionato - ma ha giustamente optato per lo stesso. Ottenere l’ennesima fiducia, considerata anche la scarsa proposta quando presente dei minori, ed i comportamenti di questi tutt’altro che vagamente paragonabili a forze piccole ma illuminate, non è stato compito arduo. Ma nulla è cambiato. Ad un sistema nettamente semplificato, anche se solo in apparenza, non vi corrisponde ancora una maggiore capacità nel decidere. Il compito più gravoso, spetta ovviamente a chi svolge il ruolo di governo. Ai primi segnali, estremamente positivi ed incoraggianti, provenienti per lo più e non casualmente da coloro che avevamo maturato, se pur in gioventù, una esperienza in salubri ambienti riformisti, non sembra seguire alcun atto concreto. Non è un sentenza di giudizio. E’ una costatazione del presente. Il piglio decisionista lo si è visto solo sulle questioni inerenti gli interessi - non entrando nel merito – che avessero attiguità con quelli del Presidente del Consiglio. I nodi cruciali sono per lo meno demandati. L’opposizioni, divisa in mille rivoli, tra opposizioni soft ed hard, tra propugnatori di alleanze centriste o di nuovo conio, extraparlamentari, e folli nostalgici del bipolarismo che fu, non sembra poter rappresentare nel medio periodo un’alternativa capace e credibile. In sostanza, se rivoluzione c’è stata, questa è stata nuovamente fallimentare o quanto meno sprecata. Nessuno sembra in grado di procedere con quella dose di decisionismo necessario e gradito. Lo schema proposto è fallito, per incapacità dei suoi attori oltre che per le plateali debolezze. Appare necessario chiedersi, proprio nel frangente in cui si avvia una discussione sulle riforme, se sia possibile ed auspicabile, che ancora una volta, lo stesso ceto dirigente, fino ad ora fallimentare, che in poco più di quindici anni si è ingegnato per architettare tutto ed il suo contrario, possa essere per l’ennesima volta l’artefice e l’ideatore di un nuovo sistema che metta fine alla transizione italiana. Altro che alba della terza repubblica! Siamo in una perdurate e strascicante crisi della prima. Non è populismo. Ma non è possibile auspicare una società meritocratica, e poi far passare l’idea che in taluni campi chi sbaglia non paga. Abbiamo vagato in questi anni tra sistemi elettorali, vagamente maggioritari, proporzionali, o misti, con mille correttivi e bipolari, la cui unica costante è stata quella di svuotare sempre più il parlamento delle sue prerogative e della sua autorevolezza e dignità, con un progressivo spostamento dei poteri effettivi in altre sedi, spesso in mano ad organi monocratici, senza predisporre i contrappesi adeguati. Esso, oggi, è più similare ad una Camera dei Lords decaduta ed invisa, che non ad una assemblea elettiva. Eppure, tra il tanto parlare di questo periodo non si sente nessun mea culpa. Proliferano al contrario associazioni interne e trasversali ai due contenitori, che discutono sulle grandi linee politiche e strategiche del futuro, in cui tutto poi si riduce ad un pronunciarsi sulla percentuale della soglia di sbarramento. Nessuno che ponga l’interrogativo sul perché tutti i tentavi portati avanti in questi anni siano abortiti più o meno prematuramente. Nessuno che metta al centro dell’attenzione lo stato comatoso della nostra democrazia ed il costante e progressivo indebolimento dei presidi democratici. Nessuno che dica che lo scontro tra magistratura e politica, avviene tra nomenclature anchilosate ed autoreferenziali. Nessuno che parli del fallimento plateale delle gestioni amministrative e politiche nella maggior parte delle regioni italiane, ove i reati di corruzioni, concussione, collusione e peculato sono all’ordine del giorno. Servono nuove classi dirigenti a più livelli. Quella attuale è stata fallimentare e non ha mai dimostrato in un solo istante di essere all’altezza dei gravosi compiti che doveva affrontare. Quanto potrà ancora sopportare il paese una simile situazione? Forse ancora un po’. Ma il lungo barato in cui siamo sta per finire. Ci aspettano le tenebre. E lì, si sa, non c’è nessuna luce che possa fungere da faro.
Basta rammentare il post elezioni del 2001. Berlusconi - similarmente a quanto avviene oggi - impegnato nella sua crociata personale con la magistratura; la sinistra alle prese con i girotondini al Palavobis; i Ds a Pesaro alle prese con il congresso più difficile della loro storia (almeno una volta li facevano!). Non sono semplici analogie o coincidenze fortuite, ma esse dimostrano platealmente l’immobilismo, anche in dinamiche basilari, del paese. Nei mesi trascorsi si sono trasversalmente catechizzati i cittadini, spiegando loro, con parabole molto simili a quella del buon samaritano, che bastava scegliere uno dei due grandi contenitori, per risolvere ed eliminare in un solo colpo i molteplici mali, causati in primis da una eccessiva frammentazione che rendeva impossibile governare con azioni decise, rapide ed incisive. Bastava semplicemente fare un buon uso del proprio voto, per risolvere i mali cronici e perduranti del sistema. Sistema, in cui quelle stesse forze, quali forze maggioritarie e preminenti all’interno dei rispettivi schieramenti, avevano contribuito ad imporre ed in cui le stesse traevano i maggiori benefici. Buona parte di cittadini, ha non solo recepito il messaggio - il contrario risultava francamente impossibile, vista l’intensità e la violenza comunicativa con cui questo veniva sprigionato - ma ha giustamente optato per lo stesso. Ottenere l’ennesima fiducia, considerata anche la scarsa proposta quando presente dei minori, ed i comportamenti di questi tutt’altro che vagamente paragonabili a forze piccole ma illuminate, non è stato compito arduo. Ma nulla è cambiato. Ad un sistema nettamente semplificato, anche se solo in apparenza, non vi corrisponde ancora una maggiore capacità nel decidere. Il compito più gravoso, spetta ovviamente a chi svolge il ruolo di governo. Ai primi segnali, estremamente positivi ed incoraggianti, provenienti per lo più e non casualmente da coloro che avevamo maturato, se pur in gioventù, una esperienza in salubri ambienti riformisti, non sembra seguire alcun atto concreto. Non è un sentenza di giudizio. E’ una costatazione del presente. Il piglio decisionista lo si è visto solo sulle questioni inerenti gli interessi - non entrando nel merito – che avessero attiguità con quelli del Presidente del Consiglio. I nodi cruciali sono per lo meno demandati. L’opposizioni, divisa in mille rivoli, tra opposizioni soft ed hard, tra propugnatori di alleanze centriste o di nuovo conio, extraparlamentari, e folli nostalgici del bipolarismo che fu, non sembra poter rappresentare nel medio periodo un’alternativa capace e credibile. In sostanza, se rivoluzione c’è stata, questa è stata nuovamente fallimentare o quanto meno sprecata. Nessuno sembra in grado di procedere con quella dose di decisionismo necessario e gradito. Lo schema proposto è fallito, per incapacità dei suoi attori oltre che per le plateali debolezze. Appare necessario chiedersi, proprio nel frangente in cui si avvia una discussione sulle riforme, se sia possibile ed auspicabile, che ancora una volta, lo stesso ceto dirigente, fino ad ora fallimentare, che in poco più di quindici anni si è ingegnato per architettare tutto ed il suo contrario, possa essere per l’ennesima volta l’artefice e l’ideatore di un nuovo sistema che metta fine alla transizione italiana. Altro che alba della terza repubblica! Siamo in una perdurate e strascicante crisi della prima. Non è populismo. Ma non è possibile auspicare una società meritocratica, e poi far passare l’idea che in taluni campi chi sbaglia non paga. Abbiamo vagato in questi anni tra sistemi elettorali, vagamente maggioritari, proporzionali, o misti, con mille correttivi e bipolari, la cui unica costante è stata quella di svuotare sempre più il parlamento delle sue prerogative e della sua autorevolezza e dignità, con un progressivo spostamento dei poteri effettivi in altre sedi, spesso in mano ad organi monocratici, senza predisporre i contrappesi adeguati. Esso, oggi, è più similare ad una Camera dei Lords decaduta ed invisa, che non ad una assemblea elettiva. Eppure, tra il tanto parlare di questo periodo non si sente nessun mea culpa. Proliferano al contrario associazioni interne e trasversali ai due contenitori, che discutono sulle grandi linee politiche e strategiche del futuro, in cui tutto poi si riduce ad un pronunciarsi sulla percentuale della soglia di sbarramento. Nessuno che ponga l’interrogativo sul perché tutti i tentavi portati avanti in questi anni siano abortiti più o meno prematuramente. Nessuno che metta al centro dell’attenzione lo stato comatoso della nostra democrazia ed il costante e progressivo indebolimento dei presidi democratici. Nessuno che dica che lo scontro tra magistratura e politica, avviene tra nomenclature anchilosate ed autoreferenziali. Nessuno che parli del fallimento plateale delle gestioni amministrative e politiche nella maggior parte delle regioni italiane, ove i reati di corruzioni, concussione, collusione e peculato sono all’ordine del giorno. Servono nuove classi dirigenti a più livelli. Quella attuale è stata fallimentare e non ha mai dimostrato in un solo istante di essere all’altezza dei gravosi compiti che doveva affrontare. Quanto potrà ancora sopportare il paese una simile situazione? Forse ancora un po’. Ma il lungo barato in cui siamo sta per finire. Ci aspettano le tenebre. E lì, si sa, non c’è nessuna luce che possa fungere da faro.
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